Torino: lo scandalo delle 78.000 case vuote

3 maggio 2024

Tutto ha inizio dalla presa di coscienza che a Torino (ma la situazione è molto diffusa, in particolare nelle grandi città italiane) la richiesta di una abitazione dignitosa in affitto è molto più alta della disponibilità dei proprietari ad affittare. Le difficoltà a trovare casa aumentano drasticamente se chi fa richiesta è un migrante straniero. In modo inaccettabilmente troppo frequente, non appena il proprietario o l’agenzia constata che il richiedente è uno straniero, si alza il muro e, spesso accampando una scusa meschina, si rifiuta di considerare la sua richiesta. Anche quando lostraniero ha tutti i documenti in regola, ha un lavoro a tempo indeterminato e quindi dà tutte le garanzie di solvibilità.

Se si considera il solo fatto economico, questo è sorprendente poiché significa che un proprietario preferisce rinunciare ad un introito(affitto) piuttosto che affittare. Ancor più sorprendente è che questa difficoltà cresce anche a fronte della rilevante decrescita demografica della città.

Dati ISTAT ci dicono che a Torino ci sono 78000 alloggi sfitti, purtroppo non ci dà ulteriori specificazioni, utili a comprendere il problema dal punto di vista del mercato degli affitti. Per capire e quindi provare a prendere dei provvedimenti infatti sarebbe utile sapere quanti di questi alloggi sfitti sono appartenenti ai privati, quanti a società,fondazioni, enti pubblici, grandi immobiliaristi. Si ha un numero solo relativamente a quanti sono di proprietà pubblica (edilizia popolare sia del Comune di Torino sia dell’ATC (Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte Centrale)). Di questi ultimi una quota importante (circa 2500) è sfitta perché l’alloggio è considerato non in regola con i requisiti di abitabilità. È Certamente un risultato preoccupante frutto di una mancanza di sistematica manutenzione da parte della proprietà (si noti che anche gli alloggi di proprietà del Comune di Torino sono in gestione al ATC che dovrebbe provvedere alla loro manutenzione). Spesso di tratta di eseguire piccoli interventi (di costo modesto) per l’adeguamento alle normative sulla sicurezza degli impianti elettrici. Solo recentemente, a fronte dei piani cosiddetti PNRR, sono stati presentati alcuni progetti di riqualificazione urbana e di manutenzione di edifici di proprietà pubblica. Ma i fondi ricevuti appaiono insufficienti a dare una svolta alla situazione delle case popolari e comunque sono, per loro natura, del tipo una tantum.

La questione dell’edilizia popolare è molto complessa. Le Costruzioni di nuovi edifici sono state finanziate dallo Stato, tanti anni fa con i fondi GESCAL, ora da molti anni il rubinetto è sigillato e nuovi edifici non vengono costruiti e resi disponibili. Ma anche per la manutenzione e l’adeguamento alle normative di sicurezza, di accessibilità, di sostenibilità energetica, troppo poco, talvolta nulla, è stanziato. Le regole di utilizzo e di assegnazione sono dettate dalla Regione, in Piemonte la gestione è svolta tramite l’Agenzia Regionale (ATC).  Qualche Tempo fa abbiamo riferito di una protesta che abbiamo sottoscritto come Associazione per cercare di contrastare (purtroppo senza riuscirci) una involuzione delle regole regionali per l’assegnazione dei punteggi per le case.È anche da citare che la legge regionale prevede lo strumento del cosiddetto“autorecupero”, cioè la possibilità che una famiglia già in graduatoria per l’assegnazione di un alloggio popolare, possa offrirsi per far fare a proprie spese (naturalmente da ditte selezionate) le opere di manutenzione necessarie a recuperare l’abitabilità di un alloggio. Le spese sostenute a questo scopo vengono successivamente recuperate a favore dell’inquilino con un piano di recupero, sostanzialmente uno sconto sulla entità del canone di affitto dovuto,per un periodo concordato. Questo interessante meccanismo, ha un limite,peraltro superabile, di richiedere una certa disponibilità di fondi alla famiglia che si segnala per attuarlo, ma, a mio giudizio, ha l’indiscutibile vantaggio di risolvere un problema permettendo ad una famiglia (che altrimenti non godrebbe subito di un alloggio popolare) di accedere ad un’abitazione (che altrimenti rimarrebbe vuota perché classificata come priva di abitabilità).

In attesa di decisioni consistenti in materia di edilizia popolare da parte dello Stato (purtroppo improbabili a breve dato lo stato della pubblica finanza) e della Regione, il Comune di Torino non è però stato inerte ma ormai da più di un decennio, sviluppando un’idea nata da Enti del Terzo Settore, ha istituito una agenzia denominata Lo.C.A.Re. e destinata a favorire l’incontro fra la richiesta di abitazione e la disponibilità ad affittare da parte di privati. Incentivi e garanzie (in particolare una copertura per qualche mese in caso di morosità da parte dell’inquilino) sono strumenti molto utili perché la stipula del contratto avvenga e le difficoltà transitorie (in particolare la morosità incolpevole) possano essere superate senza arrivare allo sfratto.

Ma allora perché tanti alloggi sfitti? perché così grande difficoltà verso un rapporto di affitto tradizionale?

Ci sono diverse motivazioni che vanno valutate con attenzione se si vuole cercare di mettere in pista soluzioni. In primo luogo c’è una grande richiesta di alloggio da parte degli studenti universitari fuorisede (Torino è una grande città universitaria con due importanti Università) ed è facile rendersi conto che affittare a degli studenti conviene più che affittare a delle famiglie. Il ricavato è significativamente più elevato e c’è la sicurezza di tornare nella disponibilità dell’alloggio alla fine di ogni anno accademico. In secondo luogo la vocazione di Torino come città turistica è stata coltivata e, pur non raggiungendo le vette di Roma, Firenze o Venezia, a fianco del servizio alberghiero offre molte soluzioni di B&B. Anche qui, sebbene ci siano maggiori oneri di gestione, il ricavato può essere più elevato rispetto al normale affitto e c’è la sicurezza di tornare nella disponibilità dell’alloggio.

Una inchiesta recentemente pubblicata segnala la morosità di inquilini come ragione indicata da alcuni (piccoli) proprietari per non dare più in affitto un proprio alloggio. La normativa fiscale (aliquota IMU che è stabilita a livello nazionale) giustifica in parte questo comportamento,prevedendo una riduzione al 50% dell’IMU dovuta in caso di alloggi inutilizzati. Certamente questa situazione di morosità si è statisticamente estesa durante il periodo del COVID (ma il Governo durante quel periodo aveva decretato il blocco degli sfratti). Passato il COVID, continua ad estendersi ancora per via della grave crisi economica, particolarmente acuta a Torino in Piemonte, che genera una diffusa crescita del numero delle famiglie al disotto della soglia di povertà (dati ISTAT). Purtroppo a fronte di una situazione che si sta progressivamente aggravando il Governo ha ritenuto di non rinnovare nella legge finanziaria per il 2024 il fondo di sostegno per le morosità, in particolare quelle cosiddette incolpevoli (cioè derivanti dalla perdita di reddito per la crisi del mondo del lavoro).

Poter disporre di un luogo dove abitare con dignità e sicurezza è certamente un diritto fondamentale di ogni essere umano e di ogni famiglia, lo sancisce anche l’ONU che ha inserito questo diritto fra i fondamentali di ciascuna persona.

Allora occorre attivarsi per trovare delle soluzioni praticabili. Per questo motivo alcune associazioni ed enti del terzo settore sisono attivati ed hanno espresso pubblicamente, raccogliendo ampio consensonella cittadinanza, tramite due documenti pressanti sollecitazioni al Comuneindividuato come primo interlocutore: il documento preparato dalla rete RAMA(Rete Antirazzista e Militante per l’Abitare) e la proposta di deliberapopolare “Vuoti a Rendere”.

Il documento della rete RAMA propone tra l’altro di

–       promuovere una campagnaculturale per mettere al corrente la popolazione della discriminazione rispettoall’abitare, utile a rafforzare la consapevolezza delle buone pratiche già inessere e delle misure che l’amministrazione intende mettere in atto;

–       monitorare e sanzionareforme di discriminazione rispetto all’abitare, sia quelle portate avanti daparte delle agenzie immobiliari che dei singoli proprietari;

–       pianificare le più opportune strategie per la messa a disposizione degli alloggi sfitti, a seguito di un monitoraggio delle risorse abitative, con l’utilizzo di banche dati sia delle utenze che dei dati catastali e/o delle concessioni edilizie (in particolare le convenzioni) per la verifica delle proprietà;

–       contrastare il vuoto abitativo a livello del patrimonio pubblico, delle case popolari, dell’edilizia convenzionata, nonché del mercato privato;

–       effettuare un censimento dello stato di utilizzo del patrimonio edilizio cittadino, di proprietà pubblica e privata, al fine di verificare la presenza di alloggi in stato di abbandono;

–       attivarsi per una rivitalizzazione della agenzia Lo.C.A.Re., prevedendo tra l’altro percorsi di accompagnamento sia per il locatore sia per il locatario, così da prevenire,tutto dove possibile, le situazioni di crisi del rapporto che portano allo sfratto;

–       limitare l’estensione delle piattaforme di housing sia tramite licenze, sia tramite la verifica del soddisfacimento dei requisiti specifici di abitabilità e dotazioni di sicurezza.

Il secondo documento, la delibera popolare “Vuoti a Rendere”, riprende alcuni dei punti precedenti sostanzialmente in modalità concorde, ed inoltre, come sottolinea il titolo stesso, focalizza l’attenzione sugli alloggi sfitti (“vuoti”) che, semplificando il ragionamento (il lettore interessato è invitato a leggere le premesse e le motivazioni riportate in maniera estesa nella parte iniziale della proposta di delibera), possono essere considerati patrimonio della comunità e per i quali può quindi configurarsi (in caso di conclamato prolungato non utilizzo) una “restituzione” al loro scopo originario di fungere da abitazione adoperando lo strumento della requisizione con indennizzo del proprietario. Personalmente ritengo che occorrano significativi approfondimenti giuridici, in aggiunta a quelli riportati nella parte iniziale della delibera, prima di poter giungere alla eventuale attuazione di tale meccanismo di “restituzione”.

La palla è ora all’amministrazione comunale di Torino, che ha accolto con interesse le sollecitazioni ricevute e si è impegnata a sviluppare in particolare alcuni punti tra cui una campagna di sensibilizzazione e la rivitalizzazione della agenzia Lo.C.A.Re. arricchendola di nuovi contenuti di supporto ai contratti di affitto concordati.

Personalmente ritengo che lo sguardo per la ricerca di un’abitazione dignitosa a costi ragionevoli vada allargato alla prima e seconda cintura di Torino, cioè alle cittadine della parte prossima al capoluogo della cosiddetta città metropolitana, come già messo a piano in altre grandi città a partire da Milano. Nelle mie attese questo dovrebbe portare a mettere a sistema la disponibilità di molte altre abitazioni, che potrebbero vantaggiosamente essere immesse nel circuito di Lo.C.A.Re. Questo ha però un nodo rilevante da sciogliere adeguatamente: la disponibilità a distanze ragionevoli di tutti quei servizi legati all’abitare di cui gode un cittadino del capoluogo. Innanzitutto Questi comuni della prima e seconda cintura di Torino devono qualificarsi come luoghi in cui abitare e non solo come luoghi in cui tornare a sera per dormire.Occorrono quindi un adeguato efficiente sistema di trasporti, aree verdi,uffici decentrati per le pratiche amministrative e burocratiche, scuole pubbliche a partire dai nidi e dalle scuole dell’infanzia, ambulatori,biblioteche e quant’altro.

Torino e il suo hinterland sono costellati di edifici abbandonati, sia pubblici (ad esempio ex caserme) sia privati (ad esempio ex capannoni industriali). Quando si pone mano al piano regolatore, prima di concedere per la realizzazione di nuovi edifici (anche e soprattutto nel caso di edilizia convenzionata) nuove aree edificabili, occorre pianificare con attenzione il recupero delle aree dove sorgono gli edifici dismessi, eventualmente operando i necessari cambi di destinazione d’uso ed utilizzando incentivi come ad esempio sconti sugli oneri di urbanizzazione.